Gela. Ritrattò in aula le accuse mosse nei confronti di un gruppo di affiliati a cosa nostra e stidda che avrebbero preteso la messa a posto dai titolari della rivendita d’auto per i quali lavorava. Caduta l’accusa di favoreggiamento alla mafia. Spiegò che quelle dichiarazioni gli erano state “strappate” dagli investigatori della Direzione distrettuale antimafia che lo avrebbero costretto ad accusare. Così, l’operaio Calogero B. venne condannato a quattro anni di reclusone in primo grado per falsa testimonianza e calunnia verso gli investigatori tirati in ballo, con l’aggravante di aver favorito la mafia. Adesso, il suo caso arriva direttamente davanti ai giudici della Corte di cassazione. Il suo legale di fiducia, l’avvocato Ignazio Raniolo, già in secondo grado, riuscì a far cadere l’accusa di favoreggiamento ai clan. Così, la condanna ai danni dell’operaio si ridusse a due anni e sei mesi di detenzione. Oltre alla falsa testimonianza, rimane in piedi la calunnia ai danni degli inquirenti. Per questo motivo, l’operaio e il legale hanno deciso di rivolgersi ai giudici romani di cassazione. Stando alla difesa, infatti, non c’era alcuna intenzione da parte dell’imputato di accusare gli investigatori. L’uomo avrebbe ritrattato le dichiarazioni solo per paura di eventuali ritorsioni. Spetterà ai magistrati romani rivedere il caso dell’operaio.