Ravenna. I primi testimoni, chiamati in aula dalla procura di Ravenna, verranno sentiti ad inizio giugno. Oggi, invece, davanti ai giudici della Corte d’assise romagnola, è stato aperto il dibattimento per i fatti che portarono alla morte, ormai trentaquattro anni fa, dell’allora ventenne Pierpaolo Minguzzi. Il giovane, che era militare di leva e faceva servizio nei carabinieri, fu rapito ad Alfonsine, un piccolo centro della provincia ravennate. Il corpo venne poi ritrovato nelle acque del Po. Gli investigatori hanno ricostruito il cold case ad anni di distanza e sono scattate le accuse contro due ex carabinieri, il gelese cinquantacinquenne Orazio Tasca e l’allora collega Angelo Del Dotto, e nei confronti dell’operaio Alfredo Tarroni. Secondo gli investigatori, che hanno provveduto ad effettuare accertamenti tecnici sul corpo del giovane, riesumato nel corso dell’inchiesta, sarebbero stati i tre imputati ad organizzare e mettere a segno il sequestro. Però, il giovane Minguzzi sarebbe stato ucciso dopo poche ore, ma i rapitori ugualmente pretesero il pagamento di un riscatto dalla famiglia, di circa 300 milioni delle vecchie lire. Gli imputati, lo scorso anno rinviati a giudizio, non hanno mai ammesso i fatti, anche se per gli investigatori gli elementi a loro carico sarebbero pesanti. Sarebbe stato Tasca a contattare telefonicamente la famiglia Minguzzi, per pretendere il riscatto.
L’ex carabiniere gelese, che da diverso tempo vive nel nord Italia, in passato è già stato condannato per fatti analoghi, coinvolto in un altro sequestro di persona finito nel sangue (insieme agli altri due imputati). I familiari del giovane ucciso, la madre, il fratello e la sorella, sono parti civili nel procedimento, assistiti dagli avvocati Luca Canella, Luisa Fabbri e Paolo Cristofori. Gli imputati sono rappresentati dai legali Luca Orsini, Gianluca Silenzi e Andrea Maestri.