“Stella cadente”, parla Canotto: in carcere intercettato uno dei Di Giacomo

 
0

Gela. Le sue dichiarazioni, dopo la scelta di collaborare con la giustizia, hanno consentito agli investigatori di tracciare i nuovi assetti della stidda locale, secondo gli inquirenti sotto la guida dei fratelli Di Giacomo. In aula, nel dibattimento avviato a seguito dell’inchiesta antimafia “Stella cadente”, è stato sentito il collaboratore di giustizia Giovanni Canotto, che è stato condannato, in primo grado, proprio per fatti dell’inchiesta. Canotto, rispondendo alle domande del pm dell’antimafia di Caltanissetta Matteo Campagnaro, ha soprattutto parlato del ruolo di uno degli imputati, Vincenzo Di Maggio, che in base alle accuse avrebbe avuto un peso notevole nella nuova organizzazione stiddara, supportando l’azione del boss Bruno Di Giacomo, a sua volta condannato in primo grado per i fatti del blitz “Stella cadente”. Di Maggio è considerato l’autista di Bruno Di Giacomo e allo stesso tempo gli sarebbero stati affidati compiti importanti per la gestione del traffico di droga. Canotto ha parlato della parentela che lega Di Maggio a Filippo Scerra (condannato in primo grado insieme ad altri stiddari), anche se la difesa, sostenuta dall’avvocato Enrico Aliotta, ha sottolineato alcune contraddizioni nella ricostruzione fornita dal collaboratore. Il pm Campagnaro, tra le altre cose, ha chiesto di poter produrre il resoconto di nuove intercettazioni, effettuate in carcere e successive agli arresti. Per l’accusa, servono a ribadire come anche dopo l’inchiesta Giovanni Di Giacomo, seppur detenuto, avrebbe continuato a dettare la linea da mantenere, soprattutto nei rapporti con esercenti e operatori economici, per gli inquirenti spesso vittime delle pressioni e dei diktat degli stiddari. Di Giacomo, con dichiarazioni spontanee, ha reso una versione diversa. Furono i carabinieri, invece, a fornire all’ambulante Saverio Scilio un sistema per registrare le minacce di alcuni stiddari. Scilio si rivolse ai militari, pare dopo aver ricevuto pretese di denaro. Con il sistema fornito dai carabinieri, fu possibile intercettare alcune conversazioni, arrivando a denunciare i responsabili delle richieste estorsive e anche in quel caso il via libera sarebbe arrivato dai Di Giacomo. Davanti al collegio penale del tribunale, presieduto dal giudice Miriam D’Amore (a latere Martina Scuderoni e Francesca Pulvirenti), ha testimoniato uno dei carabinieri che si occupò di approfondire la segnalazione dell’ambulante.

Nel corso delle prossime udienze, saranno ascoltati altri collaboratori di giustizia. A processo, oltre a Giovanni Di Giacomo, ci sono Salvatore Antonuccio, Samuele Cammalleri, Alessandro Pennata, Vincenzo Di Giacomo, Benito Peritore, Vincenzo Di Maggio, Giuseppe Truculento, Giuseppe Vella, Giuseppe Nastasi e Rocco Di Giacomo. Gli esercenti sottoposti a minacce e ritorsioni sono costituiti in giudizio con gli avvocati Valentina Lo Porto (che rappresenta i titolari di due diverse imprese commerciali) e Alessandra Campailla (che ha avanzato la richiesta per conto di un ambulante). Parte civile, ma solo per alcuni capi di imputazione, è anche uno degli imputati, Rocco Di Giacomo (con l’avvocato Antonio Gagliano). Parti civili sono la Fai e l’associazione antiracket (con l’avvocato Mario Ceraolo). Gli imputati sono difesi, tra gli altri, dagli avvocati Flavio Sinatra, Carmelo Tuccio, Ivan Bellanti, Giovanna Zappulla, Cristina Alfieri, Enrico Aliotta e Antonio Impellizzeri.

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here