Niscemi. Giuseppe Di Dio non si è suicidato. Ne sono certi i familiari, che da oltre un anno chiedono che su quanto accaduto nelle campagne di Niscemi si torni a fare luce, così come disposto dal gip del tribunale di Gela, che ha riaperto le indagini. Il venticinquenne fu trovato impiccato ad un albero, a poco meno di cinquanta metri dai terreni e dalle serre che aveva preso in affitto insieme al padre per avviare un’attività. Vani si rivelarono i tentativi di rianimarlo, così come inutile fu la corsa verso l’ospedale. Giuseppe morì il 2 marzo dello scorso anno. Da allora, i familiari, assistiti dall’avvocato Rosa Salerno, hanno iniziato la loro battaglia, per chiedere che su quella terribile fine si potesse indagare, effettuando approfondimenti. Il caso venne subito chiuso come suicidio. Una conclusione che ancora oggi non convince i genitori e i familiari del giovane agricoltore, che devono convivere con un vuoto enorme. Sono certi che Giuseppe non aveva alcun motivo per uccidersi né c’erano mai stati segnali. Il prossimo luglio si sarebbe dovuto sposare, con la fidanzata di sempre, e i preparativi erano già in corso. Non aveva mai avuto problemi e anzi scelse di puntare su una nuova attività agricola, insieme al padre. Il 2 marzo dello scorso anno, quando il suo corpo che pendeva da un albero venne trovato dal cognato, era il primo giorno di lavoro nelle serre prese in affitto. Il venticinquenne aveva appena finito di pranzare, sempre tra i campi, insieme al padre e proprio al cognato. Si allontanò per prendere una bottiglia di acqua dall’auto parcheggiata a poca distanza e da quel momento il buio è calato sulle sorti del giovane. Secondo i familiari e il legale che li assiste, non si trattò di suicidio, forse qualcuno prese di mira il giovane? In base alle indagini difensive condotte dall’avvocato della famiglia Di Dio, tutto sarebbe stato troppo rapido. Nell’arco di poco meno di venti minuti, Giuseppe Di Dio non sarebbe mai potuto riuscire a raggiungere l’auto a lasciare tutto su un camion, a spostarsi verso la zona dove venne ritrovato, a circa cinquanta metri dalle serre, ad annodare insieme più parti di una cinghia e a calarsi dall’albero, per poi darsi la morte. Ma non sono solo questi particolari a far ritenere che dietro quella fine possa esserci qualcos’altro. La cinghia ritrovata sull’albero, almeno in parte, sarebbe stata solo appoggiata ad uno dei rami e il peso del corpo del giovane l’avrebbe dovuta far cedere subito. Inoltre, la stessa cinghia era collocata in un punto molto alto dell’albero e il giovane si sarebbe dovuto arrampicare tra rami folti. Nonostante indossasse solo una maglietta a maniche corte, non sono state riscontrate ferite o tagli alle braccia. Il cognato, accortosi che il corpo pendeva dall’albero, si adoperò subito per tentare di sollevarlo, così da limitare la pressione della stretta.
Anche sulla lunghezza della cinghia e sugli effetti che avrebbe dovuto causare al giovane ci sono tanti dubbi. Nei pressi dell’albero, a terra, pare fossero già presenti dei pezzi di cinghia tagliati e anche la parte che si trovava più in alto, durante un sopralluogo, fu ritrovata a terra. Come fu tagliata la cinghia se Giuseppe non aveva con sé neanche le forbici, ritrovate sul camion che era stato usato per raggiungere i terreni? La famiglia è certa che il giovane bracciante non avrebbe avuto alcuna ragione di farla finita e soprattutto in quel modo. Troppi interrogativi si muovono intorno alla drammatica fine di Giuseppe Di Dio. Su richiesta della famiglia, con tutti gli elementi ricostruiti nel corso dei mesi, le indagini sono state riaperte. Il corpo del giovane è stato riesumato per due volte, consentendo al perito nominato di effettuare esami autoptici che un anno fa non vennero disposti, proprio perché il caso fu subito indicato come suicidio. Ora, l’esito della perizia verrà discussa davanti al giudice delle indagini preliminari, nel corso dell’incidente probatorio, e sulla drammatica morte di Giuseppe Di Dio, forse, si potranno aprire nuove strade investigative.