Gela. Freddato davanti al bar Jolly di Grammichele, piccolo comune del catanese, durante le fasi più calde di una guerra di mafia estesa anche ad altre province. L’omicidio di Grammichele. Per la morte di Roberto Silvani, crivellato di colpi nel settembre di ventisei anni fa, arriva la prescrizione in favore del collaboratore di giustizia Filippo Bilardi. Il quarantacinquenne, già affiliato al gruppo di cosa nostra gelese, era stato condannato in primo e secondo grado a dieci anni di detenzione. I magistrati etnei lo ritennero l’esecutore materiale di quell’azione di morte. La sua scelta di collaborare con la giustizia, però, gli consentì di ottenere un notevole sconto di pena. Gli stessi giudici d’appello di Catania, nel giugno di due anni fa, avevano assolto per gli stessi fatti il boss Antonio Rinzivillo e il commerciante Michelangelo Romano. Come dimostrato dai loro legali, gli avvocati Flavio Sinatra e Cristina Alfieri, non avrebbero avuto nessun ruolo in quell’azione. Ad accusarli era proprio Bilardi.
Il reato è prescritto. I giudici di cassazione, comunque, hanno disposto l’annullamento senza rinvio della sentenza di condanna a dieci anni imposta all’ex affiliato, accogliendo il ricorso presentato dal suo difensore, l’avvocato Sante Foresta. In sostanza, il reato contestatogli, ovvero l’omicidio premeditato, non sarebbe imprescrittibile. I giudici d’appello non avrebbero valutato l’attenuante della sua collaborazione con la giustizia che “esclude la rilevanza delle aggravanti contestate – scrivono i magistrati di cassazione – e determina per i delitti puniti con l’ergastolo una pena da dodici a venti anni di reclusione e, pertanto, in base alla precedente più favorevole disciplina della prescrizione un termine ordinario di quindici anni, aumentabile in caso di atti interruttivi fino ad un massimo di ventidue anni e mezzo, comunque già scaduti”. Una linea che, come si legge nelle motivazioni della decisione rese note, ha fatto scattare la prescrizione per il collaboratore di giustizia.
