Gela. Il colpo risale allo scorso anno, in pieno lockdown. La “spaccata” alla gioielleria “Rachele”, in centro, fruttò un bottino superiore ai settantamila euro. L’azione venne messa a segno, secondo gli investigatori, da Carmelo Martines, Michael Smecca e Claudio Lombardo (che ha già patteggiato). Gran parte della refurtiva sarebbe stata ricettata dal trentottenne Giacomo Di Noto, mentre il trentenne Dario Gagliano avrebbe fatto da tramite fra i ladri e i titolari dell’attività commerciale. Davanti al collegio penale del tribunale, presieduto dal giudice Miriam D’Amore (a latere Eva Nicastro ed Ersilia Guzzetta), sono finiti proprio Di Noto (attualmente detenuto) e Gagliano. Il dibattimento è stato aperto, dopo che la competenza è stata trasferita allo stesso collegio, a seguito di un’aggravante contestata a Di Noto. In aula, è stato sentito uno dei poliziotti che si occupò di effettuare delle perquisizioni. Gli agenti arrivarono anche nell’abitazione di uno dei titolari della gioielleria. Sarebbe emerso che parecchia refurtiva era già stata ricollocata nel negozio, probabilmente dopo che venne pagata la somma chiesta dai ladri per restituire buona parte di quello che era stato portato via. L’indagine si è poi estesa a due persone, vicine alla cerchia familiare dei titolari della gioielleria.
Secondo i magistrati, piuttosto che affidarsi alle attività della polizia, avrebbero preferito rivolgersi ad un “mediatore”, per riavere la refurtiva, accettando il “cavallo di ritorno”. Tutti aspetti che verranno verificati dai giudici. Il testimone ha risposto alle domande del pm Federica Scuderi e a quelle dei legali di difesa dei due imputati, gli avvocati Flavio Sinatra, Cristina Alfieri e Carmelo Tuccio.