Gela. La morte del trentasettenne Francesco Giudice, avvenuta nel novembre di due anni fa, colpì molto non solo i familiari, ma anche i tanti amici che lo conoscevano da sempre. Dopo il decesso, venne aperta un’indagine, anche perché i familiari sono convinti che quella fine sarebbe stata causata da una presunta catena di errori sanitari. I pm della procura, però, pare non abbiano individuato elementi certi per formulare eventuali contestazioni e hanno avanzato richiesta di archiviazione. Il trentasettenne morì in astanteria, al pronto soccorso dell’ospedale “Vittorio Emanuele”, dopo essere stato sottoposto ad un delicato intervento chirurgico, nel nosocomio di San Cataldo, con il successivo ritorno nella struttura di Caposoprano. Le sue condizioni si sarebbero aggravate, fino al decesso. Una sequenza che non ha mai convinto i legali che assistono i familiari. Ci sono state perizie e valutazioni mediche. Davanti alla richiesta di archiviazione, avanzata dai pm al gip, i legali hanno deciso di opporsi e sarà lo stesso giudice delle indagini preliminari a decidere, nei prossimi mesi. Da subito, si sollevarono forti dubbi sull’assistenza fornita a Giudice, che rimase in astanteria, dove trovò la morte.
Sotto verifica finirono le scelte assunte non solo dai sanitari del “Vittorio Emanuele” ma anche da quelli dell’ospedale di San Cataldo. I trasferimenti e la collocazione in astanteria non gli avrebbero consentito di avere il necessario supporto medico. Sarà il gip a decidere se l’indagine andrà avanti o se dovrà essere accolta la richiesta di archiviazione.