Gela. Cade l’aggravante mafiosa ma il collegio presieduto dal giudice Lirio Conti ha comunque condannato per peculato due dei responsabili di un’azienda d’autotrasporto e l’ex amministratore giudiziario del gruppo. Al centro delle contestazioni, una delle vicende legate al caso dell’ex banca cooperativa Sofige. Cinque anni e sei mesi di detenzione, infatti, sono stati comminati ai fratelli Emanuele e Orazio Comandatore. Sette anni, invece, per Piermaria Mancuso, all’epoca dei fatti amministratore del gruppo sottoposto a sequestro preventivo. Assolti, invece, Arcangelo Comandatore, Concetta e Angelo Fiorisi. Secondo i magistrati della Direzione distrettuale antimafia di Caltanissetta, una parte dei fondi economici a disposizione dell’azienda sotto sequestro sarebbero stati distratti a vantaggio dei titolari. Accuse sempre respinte dagli imputati e dai loro difensori, gli avvocati Giacomo Ventura, Flavio Sinatra, Raffaela Nastasi e Maria Giambra. Il collegio, composto anche dai giudici Ersilia Guzzetta e Silvia Passanisi, ha condannato i tre imputati con l’accusa di peculato. Sono state escluse, invece, le possibili infiltrazioni mafiose nell’azienda d’autotrasporto al centro degli approfondimenti. I magistrati della direzione distrettuale antimafia di Caltanissetta ipotizzavano la presenza d’interessi criminali sul gruppo, soprattutto per il tramite dello stiddaro Angelo Fiorisi. Ricostruzione, invece, esclusa già nelle richieste di condanna formulate dai pm della Dda nissena. La pubblica accusa in aula ha sottolineato come le operazioni finanziarie siano state effettuate in violazione della normativa che regola la gestione dei fondi economici nelle aziende sotto sequestro. Il gruppo d’autotrasporto, infatti, aveva subito un sequestro preventivo. Nonostante ciò, dai conti corrente dell’azienda sarebbero stati movimentanti almeno duecentomila euro, passati a quelli dei genitori dei due fratelli finiti a processo. Gli avvocati Giacomo Ventura, Maria Giambra, Flavio Sinatra e Raffaela Nastasi, nel corso del dibattimento e durante l’esposizione delle rispettive conclusioni, hanno messo in dubbio diversi passaggi delle contestazioni mosse dalla Dda. I fondi economici, infatti, sarebbero serviti solo a garantire l’equilibrio finanziario dell’azienda che, altrimenti, avrebbe rischiato la crisi. Non ci sarebbero stata alcuna appropriazione non dovuta. Il giudice Conti, nel dispositivo letto in aula, ha disposto la confisca di una somma equivalente ad almeno 160 mila euro.