Gela. Tredici condanne e tre assoluzioni per la drammatica fine dell’operaio trentenne Francesco Romano, morto alla radice pontile della raffineria Eni nel novembre di nove anni fa. Fu travolto e ucciso da un tubo da otto tonnellate, staccatosi da una catasta collocata all’isola 6 di raffineria, dove erano in corso lavori per la sostituzione della linea P2. Il giudice Miriam D’Amore, dopo una lunga e complessa istruttoria dibattimentale, ha dato lettura in aula del dispositivo. Le uniche assoluzioni hanno riguardato le posizioni di Guerino Valenti, Fabrizio Lami e Ignazio Vassallo. Sono stati condannati invece i vertici di Cosmi Sud, azienda per la quale lavorava l’operaio, Eni e delle aziende che a vario titolo avrebbero dovuto occuparsi dei controlli e dei protocolli di sicurezza. Tutte le condanne sono state emesse con pena sospesa. Un anno e otto mesi di reclusione a Bernardo Casa, Fabrizio Zanerolli, Nicola Carrera, Marco Morelli, Alberto Bertini, Patrizio Agostini, Sandro Iengo, Rocco Fisci e Serafino Tuccio. Un anno e sei mesi di reclusione, invece, per Mario Giandomenico, Angelo Pennisi e Vincenzo Cocchiara. Infine, un anno e quattro mesi a Salvatore Marotta. Anche nel corso dell’ultima udienza di oggi, accusa, difese e parti civili hanno esposto ulteriori aspetti delle loro posizioni. Il pm Luigi Lo Valvo, nelle scorse settimane, aveva concluso riconoscendo la responsabilità di tutti gli imputati e spiegando che la morte di Romano si verificò a causa di una lunga catena di inefficienze. Alla lettura del dispositivo era presente il procuratore capo Fernando Asaro. Furono i militari della capitaneria di porto, anche in forza alla procura, ad occuparsi delle indagini. Le difese hanno del tutto escluso responsabilità, sostenendo che i piani di sicurezza, anche per il cantiere all’isola 6, sarebbero stati rispettati. I legali dei manager Eni hanno ribadito che la posizione aziendale dei loro assistiti non poteva estendersi agli aspetti tecnici dei cantieri. I familiari dell’operaio dovranno essere risarciti, come ha indicato nel dispositivo il giudice. La condanna di tutti gli imputati era già stata chiesta dai legali di parte civile (nell’interessedei familiari), gli avvocati Salvo Macrì, Joseph Donegani ed Emanuele Maganuco.
Hanno sempre ritenuto che quanto accadde a Romano sia stata la conseguenza di un cantiere non sicuro e di attività molto pericolose non adeguatamente controllate, come quella di movimentazione dei tubi. I genitori e la moglie dell’operaio hanno sempre seguito tutte le fasi del procedimento, dalle indagini e fino all’ultima udienza di primo grado, in attesa della decisione del giudice. Lasciò due piccole figlie. Sono state riconosciute le responsabilità amministrative anche nei confronti delle società coinvolte, Eni, Cosmi Sud, Pec srl e Sg Sertec. Dovranno tutte pagare trecento quote, da 500 euro ciascuna.