Gela. Le domande, con le relative richieste di risarcimento, sono “infondate”. Lo scrive il giudice civile del tribunale di Caltanissetta, Andrea Gilotta, che si è pronunciato sull’azione avviata da nove gelesi. Attraverso l’avvocato Emanuele Maganuco, hanno portato in giudizio la Presidenza del consiglio dei ministri, il Ministero dell’ambiente, il Libero Consorzio di Caltanissetta, il Comune e tutte le aziende del gruppo Eni, presenti in città. Chiedevano di poter essere risarciti (per 51 mila euro ciascuno), ritenendosi danneggiati dalla presenza dell’industria pesante in città. Hanno lamentato che le loro vite quotidiane, nel tempo, sarebbero state del tutto modificate dal pericolo di potersi ammalare, contraendo gravi patologie. Il giudice, però, ha respinto tutte le domande, dando ragione sia agli enti che ad Eni. Anche il Comune, rappresentato dall’avvocato Mario Cosenza, si è opposto alle richieste, spiegando di aver assolto al compito di salvaguardare non solo i cittadini ma anche l’ambiente circostante, con atti e provvedimenti indicati dal legale. Secondo il giudice, le richieste avanzate dal legale dei cittadini sono state fondate su “pregiudizi che non superano la soglia di gravità e serietà”. Non sono stati individuati i presupposti giuridici per arrivare a riconoscere un effettivo danno subito dai nove ricorrenti (uno dei quali ha rinunciato all’azione). Per il giudice, come riportato in sentenza, si è trattato di “meri disagi”, che non consentono di individuare un’eventuale “gravità della lesione”. I legali di Eni e quelli delle istituzioni chiamate in causa, hanno sottolineato, tra le altre cose, l’assenza di riferimenti documentali dai quali potesse emergere un danno effettivo, anche alla salute, patito dai ricorrenti. “Con ciò non si intende in alcun modo sostenere che l’iniziativa economica è a tal punto libera da non determinare una responsabilità civile per i pregiudizi non patrimoniali arrecati, ma solo porre in evidenza – si legge nelle motivazioni – che il diritto al risarcimento, anche in ipotesi di astratta configurabilità di un reato, sorge unicamente in conseguenza di una compromissione dei diritti della persona che abbia assunto un apprezzabile grado di serietà. Circostanza questa, che non può dirsi sussistente ove vengano addotte, a titolo di pregiudizio, generiche allegazioni in termini di ansie patite nel corso degli anni, o infantili disagi, determinati dall’aver dovuto frequentare, per l’esercizio delle proprie attività di svago, spiagge e litorali posti non proprio a ridosso di una zona industriale”.
L’azione venne avviata ormai cinque anni fa e i cittadini portarono in giudizio tutte le istituzioni e gli enti, competenti per ogni forma di prevenzione e controllo, ma anche le società del gruppo Eni. I legali dell’azienda hanno chiesto di respingere le richieste, parlando di “indeterminatezza delle circostanze di fatto poste a sostegno della domanda”. “Rilevavano, in particolare, che nonostante le notevoli differenze di età degli attori, le loro posizioni processuali risultano assolutamente parificate, nulla essendo stato allegato in ordine allo stile di vita di ciascun attore, alle relative abitudini (fumo da sigarette) – si legge nella sentenza – anche alimentari, alle attività lavorative svolte da ciascuno di essi, alla frequenza dei prospettati consulti medici cui i predetti si sarebbero sottoposti nel tempo”. Il giudice, in sentenza, ha deciso che i cittadini dovranno pagare le spese del giudizio sostenute dalle istituzioni e da Eni, anche se non ha dichiarato la temerarietà del ricorso.