“La latitanza di Emmanuello la gestivano i niscemesi”, la famiglia contava su Giancarlo Giugno

 
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Giugno è a processo dopo l'indagine "Polis"

Gela. “La latitanza di Daniele Emmanuello, almeno fino alla sua morte, venne gestita in prevalenza dai niscemesi che si occupavano anche del fratello Alessandro”. “I niscemesi garantivano la latitanza di Emmanuello”. L’ex vertice di cosa nostra locale Crocifisso Smorta, oggi collaboratore di giustizia, ha ricostruito i rapporti tra le famiglie mafiose di Gela e Niscemi durante la sua deposizione nel corso del dibattimento che si celebra a carico di Luciano Albanelli, Salvatore Blanco e Alessandro Ficicchia. Sono accusati di aver fatto parte delle cosche di cosa nostra attive tra Gela e Niscemi e di aver imposto estorsioni a esercenti e imprenditori. Vennero arrestati nel corso del blitz “Fenice” insieme a Alessandro Barberi, Fabrizio Rizzo e Alberto Musto. Il dibattimento nei loro confronti si sta celebrando davanti al collegio presieduto dal giudice Paolo Fiore, affiancato dalle colleghe Ersilia Guzzetta e Silvia Passanisi. “Con quelli di Niscemi – ha proseguito Smorta – eravamo praticamente un’unica famiglia. I nostri riferimenti erano soprattutto Giancarlo Giugno, Salvatore Calcagno e Antonino Pitrolo. Capitava di parlare della riorganizzazione del gruppo anche quando venivamo trasferiti nei tribunali per i processi”.

“C’erano grandi problemi per riorganizzarsi”. Il punto zero della cosca sarebbe scattato con la morte di Daniele Emmanuello. “Dopo la sua morte – ha ammesso Smorta sentito in videoconferenza – ci furono grandi problemi per riorganizzare il gruppo e cercare di sostenere le famiglie dei detenuti”. Le linee fondamentali del rapporto tra le famiglie di cosa nostra gelese e niscemese sono state tracciate anche da uno degli investigatori della squadra mobile di Caltanissetta che si occupò delle indagini. Stando agli inquirenti, proprio Alessandro Barberi e Giancarlo Giugno si incontravano frequentemente nel tentativo di ricostruire l’organigramma della famiglia. I testimoni sentiti hanno risposto non solo alle domande formulate dal pubblico ministero della Direzione distrettuale antimafia di Caltanissetta Luigi Leghissa ma anche a quelle dei difensori. Nel pool di difesa, ci sono gli avvocati Salvo Macrì, Luigi Cinquerrui e Giuseppe Lipera. Nel procedimento parallelo che si sta celebrando, con rito abbreviato, davanti al gup del tribunale di Caltanissetta, invece, sono imputati lo stesso Alessandro Barberi insieme a Alberto Musto e Fabrizio Rizzo, difesi dagli avvocati Francesco Spataro, Flavio Sinatra e Antonio Impellizzeri.

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