Gela. “Mi hanno massacrato al Bronx ma io non avevo nessuna colpa. Volevano i soldi della droga che un mio amico aveva acquistato”.
L’aggressione per i soldi. Ad ammetterlo, davanti al collegio presieduto dal giudice Paolo Fiore, è stato un giovanissimo finito nel mirino di una presunta banda, composta quasi esclusivamente da un unico nucleo familiare. A processo, sono finiti il ventitreenne Alessandro Di Fede e il cinquantunenne Salvatore Morello. Vennero arrestati a conclusione del blitz “Affari di famiglia”.
Il giovane ha ripercorso l’intera vicenda. Fermato, insieme ad un collega di lavoronei pressi di via Generale Cascino, venne fatto salire su una Punto e portato tra le palazzine popolari di contrada Scavone. Lì, sarebbe stato circondato e picchiato dallo stesso Morello e dai due figli Giovanni e Klisman Rinzivillo, a loro volta finiti al centro dell’inchiesta.
La vittima avrebbe avuto la colpa di conoscere l’acquirentedella droga non pagata e di averlo accompagnato durante la consegna degli stupefacenti. “Io – ha spiegato davanti ai giudici – non sapevo neanche dove fosse andato a finire. Era praticamente scomparso. Venni picchiato e mi rubarono il motorino che fu bruciato”.
Sentito anche un altro giovane. La difesa degli imputati, rappresentata in aula dai legali Carmelo Tuccio e Salvo Macrì, ha contestato la ricostruzione fornita dal testimone soprattutto rispetto al ruolo avuto, in quelle ore, dallo stesso Morello. Davanti al collegio, composto anche dai giudici Silvia Passanisi e Ersilia Guzzetta, è stato ascoltato il collega di lavoro della vittima del presunto pestaggio oltre alla madre. Il giovane ha risposto alle domande formulate dai difensori e dal pubblico ministero Lara Seccacini. Gli imputati devono rispondere di tentata estorsione e rapina. Nuovi testimoni verranno sentiti alla prossima udienza fissata per il 21 maggio.