Gela. Chi sparò al tassista cinquantaseienne Domenico Sequino, uccidendolo in pieno centro storico, agì in sella ad uno scooter Honda Sh rubato. E’ uno dei particolari emersi durante l’esame di uno dei carabinieri che si occupò delle indagini, avviate subito dopo l’azione dei killer, che colpirono in corso Vittorio Emanuele, nel dicembre di sei anni fa. Il tassista venne raggiunto da diversi colpi di pistola e i killer si dileguarono in pochi minuti, sempre in sella allo scooter. Il militare ha risposto alle domande, davanti ai giudici della Corte d’assise di Caltanissetta. Sono a processo, Nicola Liardo, il figlio Giuseppe Liardo e Salvatore Raniolo. Per gli investigatori, sarebbero mandanti ed esecutori dell’azione di morte. Il militare ha fatto riferimento a tutte le principali piste investigative, seguite nel tentativo di risalire ai responsabili dell’agguato mortale. Decisive si sarebbero rivelate le intercettazioni alle quali erano già sottoposti i Liardi, in un’altra indagine, ribattezzata “Donne d’onore”. Per il carabiniere, ci sarebbero stati dialoghi, anche in carcere, che confermerebbero la piena responsabilità dei tre imputati. I difensori, gli avvocati Giacomo Ventura, Flavio Sinatra e Davide Limoncello, hanno però insistito sulla loro eccezione di inutilizzabilità del contenuto di quelle intercettazioni e la corte si pronuncerà alla prossima udienza, fissata per maggio. I tre imputati non hanno mai ammesso possibili responsabilità nell’omicidio, dicendosi estranei ai fatti. Secondo il testimone sentito in aula, l’analisi delle celle telefoniche avrebbe consentito di individuare la presenza di Giuseppe Liardo nella zona dell’omicidio proprio durante quei minuti, anche se questi aspetti sono stati messi in discussione dalle difese.
La famiglia della vittima, rappresentata dall’avvocato Salvo Macrì, è parte civile nel procedimento e già in fase di indagini seguì l’intero procedimento, in attesa che si arrivasse all’individuazione dei possibili responsabili. Secondo le accuse, i Liardo e Raniolo avrebbero agito per dissidi con Sequino, scaturiti probabilmente da un debito in denaro. L’inchiesta, inizialmente avviata con il coordinamento dei pm della procura, passò poi a quelli della Dda di Caltanissetta, sempre condotta dai carabinieri, che arrivarono dopo alcuni anni ad avere tutti gli elementi per far scattare gli arresti. In aula, si tornerà a maggio.