Gela. Il reclamo contro il regime del carcere duro era stato respinto la scorsa estate dai giudici del tribunale di sorveglianza di Roma. Per i magistrati capitolini, non sono emersi presupposti per revocare il 41 bis al cinquantaseienne Peppe Alferi, ritenuto a capo di una terza consorteria mafiosa, autonoma sia da Cosa nostra che dalla stidda. La decisione del tribunale romano, che ha accolto le richieste della Direzione nazionale antimafia, è stata impugnata dalla difesa di Alferi, sostenuta dall’avvocato Maurizio Scicolone. Il legale si è rivolto ai giudici di Cassazione e il ricorso verrà valutato il prossimo febbraio. L’udienza è stata fissata. Alferi venne arrestato dopo il blitz “Inferis”, per il quale è stato condannato. I pm dell’antimafia sono certi che ancora oggi abbia collegamenti con i gruppi criminali locali e quindi non ci siano le condizioni per revocare l’isolamento del 41 bis. Secondo la difesa, invece, i legami ipotizzati dai pm non avrebbero veri fondamenti, trattandosi di vicende del tutto differenti rispetto a quelle che vennero contestate al cinquantaseienne al momento dell’arresto.
E’ stato messo in dubbio dal legale che Alferi possa aver mai avuto contatti con esponenti mafiosi coinvolti poi in operazioni come “Mutata arma” ed “Extra fines”. Aspetti che sono stati sintetizzati nel ricorso avanzato in Cassazione. Lo stesso Alferi ha sempre negato di essere a capo di un gruppo di mafia. Ha respinto anche la definizione di boss. Secondo l’antimafia, è però ancora pericoloso.