Gela. Insieme ad altri imputati, ha scelto di rilasciare dichiarazioni spontanee. Il quarantacinquenne Bruno Di Giacomo ha respinto le accuse che gli vengono mosse. L’ha fatto nel corso del giudizio abbreviato, davanti al gup del tribunale di Caltanissetta. Gli investigatori che misero a segno il blitz “Stella cadente” sono certi che Di Giacomo, dopo la scarcerazione, si fosse messo a capo del gruppo locale della stidda, riorganizzato dopo gli arresti effettuati dalle forze dell’ordine. Il legale che lo rappresenta, l’avvocato Francesco Enia, ha iniziato a spiegare le ragioni difensive, mettendo in discussione le conclusioni dei pm della Dda di Caltanissetta. Al termine della requisitoria, il pubblico ministero dell’antimafia nissena Matteo Campagnaro ha chiesto venti anni di detenzione per Di Giacomo, ribadendo come fosse diventato il capo degli stiddari. La difesa è ritornata sull’esistenza dell’organizzazione criminale, limitandola comunque ai fatti già scontati dall’imputato. Il legale ha impiegato oltre sette ore per analizzare, in profondità, le ragioni del suo assistito, nei cui confronti vengono mosse le contestazioni più pesanti. Nel corso delle indagini, sono emerse diverse presunte tracce dell’azione stiddara, con estorsioni, danneggiamenti, armi e traffico di droga. Di Giacomo e gli altri presunti complici avrebbero concentrato le loro attenzioni su alcuni settori del tessuto economico locale, tentando di controllarli, attraverso imprese di fiducia. Oltre ai venti anni di reclusione per il presunto boss, dall’accusa è arrivata la richiesta a diciannove anni e quattro mesi per Alessandro Scilio; diciotto anni per Gaetano Marino; dieci anni e otto mesi ad Emanuele Lauretta; dieci anni ciascuno per Giuseppe Alessandro Antonuccio, Gaetano Simone, Andrea Romano e Filippo Scerra; nove anni e quattro mesi a Giuseppe Giaquinta e Gianluca Parisi; sei anni e otto mesi per Rosario Marchese, Giuseppe Antonuccio e Nicola Palena; quattro anni al collaboratore di giustizia Giovanni Canotto; tre anni e otto mesi per Calogero Infurna; tre anni e quattro mesi per Luigi D’Antoni. Le difese di altri imputati, con i legali Francesco Enia, Cristina Alfieri e Laura Caci, concluderanno nei prossimi giorni. La decisione del gup potrebbe arrivare ad inizio gennaio. Le conclusioni del pm sono già state condivise dalle parti civili, a cominciare dai legali di alcuni esercenti che sarebbero stati vittime delle pressioni e delle minacce degli stiddari.
Sono rappresentati dagli avvocati Valentina Lo Porto e Alessandra Campailla. Parti civili, che hanno concluso chiedendo la condanna di tutti gli imputati, sono anche il Comune (rappresentato dall’avvocato Ornella Crapanzano), la federazione antiracket (con il legale Mario Ceraolo) e la Cgil (con l’avvocato Rosario Giordano). Parte civile è anche uno degli imputati, Alessandro Scilio (con l’avvocato Davide Limoncello), oltre a Rocco Di Giacomo, imputato in un altro filone processuale e difeso dall’avvocato Antonio Gagliano. L’inchiesta partì proprio dopo la scarcerazione di Bruno Di Giacomo. Gli imputati sono difesi inoltre dagli avvocati Giacomo Ventura, Flavio Sinatra, Davide Limoncello, Giovanna Cassarà, Rocco Guarnaccia, Maurizio Scicolone, Giovanna Zappulla, Ivan Bellanti, Rocco Di Dio e Angelo Tornabene.