Gela. Il blitz venne messo a segno ormai quattordici anni fa. L’inchiesta “Tagli pregiati”, che per il rito ordinario arrivò alla decisione di primo grado solo nel 2017, consentì di individuare un nucleo di Cosa nostra gelese, legato alla famiglia Rinzivillo, in grado di gestire diversi settori economici e di avere riferimenti capillari anche nel nord Italia. Gli inquirenti risalirono a richieste estorsive e a presunti affari illeciti. I giudici della Corte d’appello di Caltanissetta hanno in parte rivisto al ribasso alcune delle condanne imposte dal collegio penale del tribunale di Gela. Dieci anni e sei mesi di reclusione sono stati decisi per Alfredo Santangelo, mentre in primo grado la condanna era stata a dodici anni e otto mesi. L’annullamento per un capo di imputazione (quello per l’associazione mafiosa), con gli atti che ritornano ai pm della Dda di Caltanissetta, è stato deciso per le posizioni di Vincenzo Alfieri e Claudio Alfieri. Per le altre contestazioni, invece, la condanna è stata ridotta a sei anni di reclusione, a fronte dei sette anni e mezzo disposti in primo grado. Santangelo e gli Alfieri sono difesi dall’avvocato Flavio Sinatra che ha presentato i ricorsi e chiesto di rivedere le decisioni di primo grado. Ridotta la condanna anche per Gaetano Mirko Valente, da otto anni di detenzione a sei anni. La prescrizione invece ha fatto venire meno la condanna nei confronti di Jamil Mhamdi (in primo grado era stata disposta la condanna a sette anni di detenzione). Il “non luogo a procedere” invece è stato indicato per Giorgio Cannizzaro. Il catanese era ritenuto uno dei punti di riferimento per i collegamenti criminali con i gelesi. Secondo i giudici d’appello nisseni, l’azione penale per gli stessi fatti era già stata esercitata in un altro procedimento. In primo grado, gli erano stati imposti tredici anni e quattro mesi di reclusione. E’ stata annullata la sentenza di condanna rispetto alla posizione di Salvatore Arria (in primo grado condannato ad otto anni di detenzione). Secondo il dispositivo emesso in appello, la competenza per le contestazioni che lo riguardano spetta ai magistrati di Latina.
Sono state confermate, invece, le decisioni già emesse in primo grado, con condanna a sei anni di reclusione, per Francesco D’Amico, Rosario Saccomando, Francesco Angioni, Simone Di Simone. Quattro anni, invece, ad Angelo Bernascone. Per questi cinque imputati, c’è stata la riduzione della durata della libertà vigilata. I giudici di secondo grado hanno riconosciuto il diritto delle parti civili ad ottenere il pagamento delle spese del giudizio. Nel procedimento, sono costituite l’associazione antiracket “Gaetano Giordano” e il Comune. Tra i difensori, ci sono gli avvocati Giacomo Ventura, Nicoletta Cauchi, Cristina Alfieri, Vania Giamporcaro, Fabio Schembri, Vincenzo Lepre e Maurizio Forte.