Gela. A livello locale, secondo le stime dei sindacati, a rischio potrebbero esserci almeno quattrocento posti nel diretto di Enimed, oltre a quelli dell’indotto. Cifre legate all’eventuale “blocca trivelle”, periodicamente riproposto, questa volta dalla maggioranza del governo nazionale, di sponda grillina. In base a quanto riferisce “Milano Finanza”, però, l’emendamento che avrebbe dovuto modificare il decreto “Semplificazioni” è ritornato indietro. Probabilmente, ritirato in attesa di ulteriori verifiche. L’obiettivo iniziale era intervenire sul Piano per la transizione energetica sostenibile delle aree idonee (Pitesai), rivedendo le attività esplorative ed estrattive delle grandi corporation del settore, a partire da Eni. La pressione dei sindacati, delle associazioni di categoria e di una larga parte della politica nazionale, pare abbia fatto fare i primi passi indietro. “Se quell’emendamento fosse passato, avrebbe messo a rischio 20 mila lavoratori di Eni e dell’indotto, tra Ravenna, Val D’Agri e Gela, bloccando anche quel poco di produzione che è rimasta”, ha spiegato a “Milano Finanza” Paolo Pirani, segretario generale Uiltec. “Non solo, con quelle modifiche al Pitesai sarebbe stato compromesso anche il piano Eni per Ravenna – ha aggiunto – dove è prevista la creazione del più grande centro al mondo per lo stoccaggio della CO2, utilizzando i giacimenti di gas ormai esauriti. Ma il controsenso più clamoroso sa qual è? Che dal governo sia stato anche solo pensato un emendamento del genere: mentre si ostenta la difesa dei diritti di Eni tra Cipro, Turchia ed Egitto, si va ad affossare la sovranità energetica nazionale. Questo è un caso che andrebbe portato davanti al Copasir”.
Per ora, tutto congelato, mentre a livello locale si attende ancora che entri nel vivo il progetto “Argo-Cassiopea” per la base gas, che è la parte più consistente dell’investimento deciso da Eni con il protocollo di sei anni fa. “Cosa sarebbe successo se quell’emendamento non fosse venuto allo scoperto? – ha aggiunto Pirani – appena una settimana fa abbiamo incontrato l’ad di Eni Descalzi, che ci aveva confermato un piano di investimenti per l’Italia pari a 6 miliardi di euro al 2023, e già in quell’occasione erano emerse le preoccupazioni per il futuro dell’upstream, frenato da un quadro normativo penalizzante”.
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