Gela. E’ definitiva la condanna a ventiquattro anni di reclusione imposta al niscemese Giuseppe Cilio, accusato dell’omicidio dell’allora ventiduenne Orazio Sotti. La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso della difesa, sostenuta dall’avvocato Salvo Macrì. Nelle circa ottanta pagine, il legale metteva in discussione le conclusioni dei precedenti gradi di giudizio, con Cilio condannato all’ergastolo e poi, in appello, a ventiquattro anni, perché non fu riconosciuta la premeditazione. Secondo gli investigatori che si occuparono di ritornare su un caso rimasto fermo per anni (il giovane fu freddato davanti al garage della propria abitazione nel dicembre di vent’anni fa), l’omicidio sarebbe stato deciso per vendicare la relazione che la vittima aveva avuto sia con l’allora fidanzata dell’imputato che con quella del fratello. Salvatore Cilio (difeso dall’avvocato Luigi Cinquerrui), però, venne assolto in primo grado e uscì dal procedimento. La difesa ha ribadito che anche le testimonianze rese in aula nel corso dell’intero procedimento non avrebbero diradato i tanti dubbi sulla dinamica e sull’effettiva presenza di Cilio nei pressi dell’abitazione di Sotti. Nel ricorso, veniva citata l’assoluzione del fratello dell’imputato, che avrebbe smentito la tesi d’accusa. Elementi che i magistrati romani non hanno accolto.
A richiedere la conferma della condanna sono stati i legali di parte civile, gli avvocati Giuseppe Cascino, Francesco Minardi e Maria Cascino, nell’interesse dei familiari del giovane ammazzato vent’anni fa. Sono stati i genitori di Sotti a volere che le indagini proseguissero. I poliziotti del commissariato e quelli dell’aliquota di polizia giudiziaria, coordinati dai pm della procura, sono riusciti a dare un volto a chi agì quella sera del dicembre del 2000. Ora, la decisione è definitiva.
