Gela. I contributi per favorire investimenti economici, che il governo garantì con la legge 488 del 1992, non hanno mai avuto buona sorte sul territorio. In troppi casi, gruppi imprenditoriali ammessi ai finanziamenti ne hanno approfittato per realizzare strutture, poi rimaste del tutto inutilizzate. Vicende spesso denunciate dai sindacati. Un’altra azienda locale dovrà restituire quanto venne concesso da Roma. Impegnata nel settore del commercio di ceramiche, nel 2005, dopo aver presentato istanza per l’ammissione ai contributi, ottenne un finanziamento “in via provvisoria” di circa 238 mila euro, su un totale complessivo di 324 mila euro. La procedura venne attivata già anni prima, nel 2001. Fondi che servirono per realizzare una struttura espositiva, che negli ultimi tempi ospita un’attività commerciale. L’immobile venne realizzato in via Albinoni, su un progetto che comunque fu ideato principalmente con capitali privati del gruppo. Sembrava che tutto fosse andato come doveva. Nel 2009, però, “Europrogetti&finanza”, l’istituto bancario che si occupò di seguire l’iter, inviò al Ministero dello sviluppo economico richiesta di revoca del contributo. Dall’azienda non sarebbe stata trasmessa la documentazione finale, che attestava il completamento dell’attività di spesa. Dopo otto anni di silenzio, il ministero ha avviato la procedura di revoca. In totale, l’azienda locale dovrebbe restituire circa 324 mila euro, su un progetto complessivo di portata finanziaria ancora maggiore. Anche secondo i funzionari romani, non sarebbero stati rispettati gli obblighi imposti dalla procedura. Una revoca che è stata impugnata dai legali della società. Inizialmente, i giudici del Tar Palermo hanno concesso la sospensiva, bloccando gli effetti del provvedimento ministeriale. La sentenza emessa dagli stessi magistrati ha adesso dato torto agli imprenditori, respingendo il ricorso. Nonostante gli otto anni di totale silenzio, con il finanziamento che sembrava ormai aver superato qualsiasi tipo di controllo, anche secondo i giudici la mancata trasmissione della documentazione finale di spesa avrebbe pregiudicato l’intera procedura. Nella sentenza, viene escluso che possa essere maturata la prescrizione, nonostante i dodici anni trascorsi dal decreto che autorizzava il contributo. Le motivazioni pubblicate distinguono tra la “concessione provvisoria” e quella definitiva.
I legali del gruppo locale hanno inoltre sostenuto che la documentazione sarebbe stata regolarmente trasmessa, entro il termine previsto. Secondo i giudici, però, si sarebbe trattato solo di una dichiarazione sostitutiva, priva della necessaria efficacia. Nel ricorso, gli imprenditori hanno ribadito di aver rispettato il principio della “buona fede”, facendo anche affidamento sul fatto che per otto anni non ci furono comunicazioni giunte dal ministero, che invece dispose la revoca con un provvedimento del 2017. E’ trascorso quasi un ventennio da quando le carte presentate dal gruppo iniziarono ad essere vagliate dai tecnici del ministero e della banca concessionaria (oggi in liquidazione). Secondo i giudici, però, quei 324 mila euro vanno restituiti.