Gela. La voce che i familiari del ventunenne Pierpaolo Minguzzi, nell’aprile di trentatreenne anni fa, sentirono all’altro capo del telefono sarebbe stata quella dell’allora carabiniere gelese Orazio Tasca, da anni residente nel nord Italia ed oggi cinquantacinquenne. Chiedeva un riscatto da trecento milioni delle vecchie lire alla famiglia del giovane che era stato sequestrato, ma probabilmente già ucciso prima ancora di ufficializzare la richiesta di denaro. Tasca, l’altro ex carabiniere Angelo Del Dotto e l’idraulico Alfredo Tarroni sono stati rinviati a giudizio dal gup del tribunale di Ravenna. A febbraio del prossimo anno dovranno presentarsi davanti alla Corte d’assise romagnola. Sono accusati non solo del sequestro ma anche dell’omicidio di Minguzzi. Il cadavere del giovane di Alfonsine, piccolo centro dove i due carabinieri erano in servizio, venne ritrovato nelle acque del Po. Secondo gli investigatori che sono arrivati a dare un volto ai presunti responsabili dopo un trentennio, prima sarebbe stato ucciso. Il cadavere venne poi gettato nel fiume. La vittima era un carabiniere di leva e faceva parte di una famiglia di imprenditori del settore dell’allevamento. I tre imputati, che hanno sempre negato un loro coinvolgimento, sono già stati condannati per un fatto analogo, successivo di soli tre mesi al rapimento Minguzzi. Anche in questo caso, ci fu un sequestro di persona e venne chiesto un riscatto ad una famiglia di imprenditori del posto. Nel luogo scelto per lo scambio, si presentarono i carabinieri.
Scoppiò un conflitto a fuoco e un giovane militare finì sotto i colpi della banda. In quella telefonata alla famiglia Minguzzi, in base ai riscontri degli inquirenti romagnoli, Tasca si sarebbe tradito, pronunciando prima il cognome della famiglia che sarebbe stata colpita tre mesi dopo. Segno, secondo le accuse, che dietro a quei due sequestri ci sarebbero state sempre le stesse mani, sporche di sangue. La famiglia Minguzzi è parte civile nel giudizio, assistita dagli avvocati Luca Canella, Luisa Fabbri e Paolo Cristofori. Gli imputati sono rappresentati dai legali Luca Orsini, Gianluca Silenzi e Massimo Martini. Durante le indagini è stato necessario riesumare la salma del giovane, alla ricerca di tracce di Dna.