Gela. “Voleva dargli fuoco perché non gli aveva restituito i soldi e gli interessi ad usura. Fortunatamente, io e mio fratello Simone siamo riusciti a fermarlo”. Il neo collaboratore di giustizia Davide Nicastro ha deposto, ieri mattina, davanti alla corte presieduta dal giudice Paolo Fiore nell’ambito del processo che vede imputati il cinquantottenne Orazio Di Giacomo e il figlio ventisettenne Paolo.
Sono accusati di aver imposto il pagamento di denaro a strozzo all’imprenditore Alessandro Lignano e al padre Gioacchino. Il collaboratore di giustizia ha ricostruito l’incontro avuto da Orazio Di Giacomo con lo stesso Gioacchino Ligname.
“Ricordo – ha spiegato – che portava con sé un piccolo marsupio. Arrivati all’appuntamento con Ligname, afferrò una bottiglia conservata nel marsupio e colma di benzina ed iniziò a versargliela addosso”.
Una versione, comunque, messa in dubbio dei difensori degli imputati, gli avvocati Michele Micalizzi e Giovanni Lo Monaco. Anche uno degli ex soci dell’imprenditore finito nella presunta rete d’usura è stato sentito.
Il pubblico ministero Elisa Calanducci ha contestato buona parte delle dichiarazioni rese soprattutto sul punto relativo all’incontro che si sarebbe verificato, nella zona industriale di Catania, tra i Ligname e Orazio Di Giacomo, probabilmente interessato ad entrare in società con le presunte vittime.
Adesso, il dibattimento, come deciso dal presidente Fiore, affiancato dai magistrati Manuela Matta e Fabrizio Molinari, è stato aggiornato al prossimo 16 gennaio.