Gela. Da una recente ricerca avviata dall’Ordine degli Psicologi del Lazio in collaborazione con la facoltà di Medicina e Psicologia de “La Sapienza” di Roma ed ENPAP, è emerso come dato considerevole che, durante e dopo l’emergenza legata alla pandemia da Covid-19, negli adulti tra i 30 i 39 anni si fanno più presenti emozioni di rabbia, insieme alle preoccupazione per le proprie relazioni e che nella fascia d’età successiva, quella tra i 40 e 49 anni, le relazioni diventano il costrutto più rilevante. La ricerca è illustrata all’interno del progetto “Barometro Mentale”.
Crescenti preoccupazioni e stress psicologico e sociale hanno contribuito ad esasperare anche i ritmi delle relazioni familiari e sociali, aprendo uno scenario su cui sento il dovere di soffermarmi per fare chiarezza: si tratta dei litigi, o meglio dei conflitti relazionali.
Tutti noi siamo abituati a pensare al conflitto come qualcosa di negativo, che a lungo andare logora noi e le nostre relazioni. Vero, ma soltanto quando non viene gestito in modo adeguato. Il conflitto è parte della relazione e tramite la sua manifestazione e risoluzione permette di dare forma alle differenze fra gli individui, esaltando l’unicità di ognuno di noi. Quando si manifesta un conflitto, sono costretta a guardare oltre me, e questo mi costringe ad ampliare i miei confini ed orizzonti.
Questo funziona però quando parliamo di una relazione in cui lo spazio fra me e l’altro non è confuso, annullato o soppresso.
Come si definiscono gli spazi delle relazioni?
Ad ogni spazio corrisponde una realtà una interna, una esterna e una intermedia: la realtà interna ed esterna sono quelle che ci sembrano più familiari, ne abbiamo subito una percezione. La realtà interna corrisponde al nostro modo di sentire sentimenti, la realtà esterna si traduce nei comportamenti che mettiamo in atto. La realtà intermedia penetra la realtà interna ed esterna, ed è il luogo della nostra memoria (implicita ed esplicita), del gioco e della creatività. È anche il luogo in cui i miei fantasmi (le figure che ho interiorizzato nel tempo, i miei genitori, nonni, zii maestre ecc…) entrano in contatto con i fantasmi dell’altro). In una relazione ci sono sempre dei vincoli reciproci che sono essenziali alla sopravvivenza di tutti i partecipanti.
Cosa è successo quando in una relazione lo spazio fra me e l’altro è confuso, annullato e soppresso?
Si è irrigidito il sistema di comunicazione della realtà intermedia, le parole diventano armi per ferire l’altro e non più strumenti per veicolare messaggi e affetto. È possibile che mi posso esser sentito invaso dall’altro o che potessi essermi sentito spodestato da un luogo certo e sicuro che mi dava sicurezza. Si offusca quella possibilità di vedermi in base a ciò che sono con l’altro per salvare la mia immagine, perché diviene difficile accettare che qualcosa dell’altro possa debordare su di me. Questo diventa tanto più chiaro quando pensiamo alle nostre relazioni più profonde, con i nostri genitori, figli, fratelli e sorelle, dove i legami non sempre sono simbolizzati in modo chiaro. Ampliare il nostro sguardo ci obbliga a separarci dal già noto che è quella zona di comfort che deriva dalle nostre relazioni più profonde.
Il conflitto è funzionale quanto più riusciamo a riconoscere l’unicità dell’altro, accettare che l’altro esista a prescindere da me. Questo implica sempre un lavoro di realizzazione affettiva ed elaborazione del fatto che quando entriamo in conflitto con l’altro deve esserci un ampliamento del nostro sguardo e un’ integrazione dei punti di vista dei soggetti. Il fatto di vincolarci all’altro: al marito, alla moglie, ai figli, ad un collega di lavoro, da un lato annulla tutto ciò che sta al di fuori di questo legame, ma dall’altro sottolinea le somiglianze e uguaglianze fra le persone che si vincolano. “L’allenamento sociale” è quello di sostenere l’aspetto creativo che esiste nell’esser diverso dall’altro.
Educare la società a vivere e gestire un conflitto vuol dire educare la società ad accogliere le differenze che ci sono fra gli individui.
Dott.ssa Alice Rinzivillo-Psicologa