Gela. Condannato in primo grado dai giudici della corte d’assise di Caltanissetta a trent’anni di reclusione con l’accusa di aver fatto parte del gruppo di fuoco che uccise nel dicembre di diciannove anni fa Maurizio Morreale. Adesso, è arrivata l’assoluzione in appello per il quarantacinquenne Emanuele Ganci.
A deciderla sono stati i giudici della corte d’assise d’appello nissena nonostante la richiesta di condanna a quattordici anni di detenzione formulata dal procuratore generale Lucia Brescia. Il collegio, presieduto da Maria Giovanna Romeo, ha accolto la ricostruzione difensiva portata avanti dal legale Danilo Tipo, avvocato di fiducia del quarantacinquenne. Emanuele Ganci, conosciuto con l’appellativo di “Nele ‘u ncarcatu”, venne arrestato dagli agenti della squadra mobile di Caltanissetta all’interno del bar di famiglia di corso Vittorio Emanuele. Stando alla ricostruzione, avrebbe condotto lui l’auto utilizzata dal commando per colpire Maurizio Morreale, freddato nel dicembre del 1995 in via Navarra mentre si trovava a bordo della sua vespa. Si sarebbe trattato del messaggio rivolto dal gruppo capeggiato dal boss Rosario Trubia a quello organizzato proprio dalla vittima. La contesa riguardava la leadership nella consorteria mafiosa locale. Da una parte la famiglia Emmanuello, con Rosario Trubia; dall’altra, il gruppo Rinzivillo-Trubia e lo stesso Maurizio Morreale. La difesa dell’imputato è riuscita a dimostrare l’estraneità ai fatti soprattutto facendo leva sull’assenza di dati certi che potessero confermare la presenza di Gangi al momento dell’agguato. Per quegli stessi fatti, altri componenti del commando sono già stati condannati. A sparare, sarebbe stato Giovanni Rubino. Tra le accuse contestate, c’era anche quella di tentato omicidio. Durante l’inseguimento successivo all’azione di morte, dall’auto in fuga vennero sparati diversi colpi in direzione di due agenti di polizia. La linea d’accusa, però, non è riuscita a convincere il collegio giudicante. Emanuele Ganci venne arrestato praticamente a quindici anni di distanza dall’omicidio. Secondo gli investigatori, era l’anello mancante dell’intera ricostruzione. Un anno fa, la difesa dell’imputato non aveva retto e i giudici di primo grado della corte d’assise nissena inflissero la condanna a trent’anni di reclusione. Ora, quella decisione è stata del tutto ribaltata. L’omicidio di Maurizio Morreale venne interpretato dagli inquirenti come un decisivo regolamento di conti tra famiglie di cosa nostra, tutte intenzionate a prendere il sopravvento in città. Più volte, la vittima avrebbe minacciato di voler colpire Rosario Trubia per impedirgli la scalata ai vertici delle cosche locali.