Gela. L’unico a non aver chiesto il rito alternativo (patteggiamento o abbreviato) è stato Emanuele Fraglica. Tutti gli altri saranno giudicati il 9 febbraio del 2012. Ad una svolta l’inchiesta sulla scalata alla Juveterranova
che vede imputati mandanti ed esecutori materiali del tentato omicidio all’ingegnere Fabrizio Lisciandra, oltre che di “assistenza” ai clan. La procura distrettuale antimafia, rappresentata da Gabriele Paci, ha chiesto il proscioglimento per Emanuele Fraglica, mentre la condanna per i collaboratori di giustizia Angelo Cavaleri, Crocifisso Smorta, Rosario Trubia e Carmelo Barbieri, e inoltre per Emanuele Scicolone e Giuseppe Alabiso. Quest’ultimo, assistito dai legali Gagliano e Sinatra, ha chiesto il rito alternativo, saltando l’eventuale processo. Nel dettaglio il pm ha chiesto 6 anni per Smorta e 4,5 per Cavaleri, che hanno scelto l’abbreviato.
L’udienza di ieri è stata caratterizzata dalla deposizione spontanea di Emanuele Fraglica. Il suo difensore, avvocato Carmelo Tuccio, ha prodotto una serie di documenti per dimostrare che Fraglica non poteva avere motivazioni per avercela contro Lisciandra. Sono stati consegnati agli atti del processo articoli di quotidiani e persino copia video di una conferenza stampa risalente al giugno del 1998 in cui Lisciandra, allora presidente della Juveterranova, rievoca l’interesse a svolgere un gemellaggio con la Juventus. La crisi poi rientrò tant’è che lo stesso Fraglica diventò vice presidente e responsabile del settore logistico. I motivi erano anche altri. Primo: la Juveterranova aveva chiuso quell’anno con un passivo di 368 milioni di lire e diventarne proprietario sarebbe stato poco conveniente. Inoltre i fratelli Fraglica avevano subito il danneggiamento del bar e della pasticceria. Sull’episodio in cui i clan si riunirono nel suo locale, lo stesso Smorta ha detto che Fraglica si limitò ad accendere la luce della stanza in cui si riunirono.
Il pentito ha aggiunto invece ha detto il vero interesse del clan Emmanuello non era il calcio, ma il Cns, ovvero il consorzio di cooperativa che gestiva appalti nell’indotto del petrolchimico con Lisciandra al suo comando. “La Juveterranova era solo un pretesto”, ha chiosato il pentito. A febbraio la decisione del Gup.