Gela. C’è bisogno di numeri concreti e non di polemiche o di “demagogia”. Il consigliere comunale Paola Giudice ritiene che con l’emergenza in atto servano risposte subito, anzitutto per rafforzare il fronte dell’intervento sanitario. “L’esortazione è di fare fronte comune, con la salute non ci sono mezze misure e in questo momento i successi si misurano con i numeri – dice – numeri di posti predisposti in rianimazione, numero di medici specializzati per fare i tamponi, numeri di tamponi, numeri di ambulanze dedicate al Covid-19, numeri solo numeri compresi i numeri dei giorni che sono già stati persi”. Il consigliere non condivide l’eccessiva esposizione, anche mediatica, priva però di veri risultati. “I morti sono una realtà così come la paura con cui tutti conviviamo da giorni e bisogna averne rispetto. Cosa c’è da far polemica? Cosa si è detto che non sia la verità? Dove sta lo scandalo? – aggiunge – è apprezzabile seguire chi si adopera per la disinfezione ma dato che ognuno ha il suo ruolo non vedo la necessità di andare in ventiquattro per la stessa cosa. Forse sarebbe più semplice dare seguito a ciò che si stabilisce. Immaginate un’azienda dove tutti fanno la stessa cosa Fallirebbe dopo un mese. Non ho vissuto la Prima Repubblica ma sono certa che ci fosse meno demagogia”.
Il consigliere indipendente ritiene che i numeri del contagio, comunque molto limitati in città, siano dovuti soprattutto alla “fortuna”. Ora, però, servono interventi a tutela della città. “Tutti affermiamo di amarla. E’ tempo di dimostrarlo con i fatti ed i fatti dicono che in città, fino ad oggi, siamo stati fortunati, solo di fortuna si tratta. Si sono registrati pochi casi e se dovesse accadere qualcosa di più grave scopriremmo che medici e infermieri, e io sto con loro, hanno ragione a rivendicare sicurezza mentre lavorano, perché chi è in trincea non dorme la notte altro che retorica e inutile protagonismo. L’unico vantaggio che abbiamo avuto nel sud Italia è stato il tempo. Tempo per capire la gravità di quello che stava arrivando, tempo per constatare l’impatto devastante su territori oggettivamente più dotati di infrastrutture sanitarie, tempo per organizzarci e rivendicare ciò che spetta anche alla nostra città. Il tempo è scaduto, non è stato sfruttato e anche tre giorni diventano fondamentali”.