ROMA (ITALPRESS) – “L’applicazione retroattiva di una disciplina che comporta una radicale trasformazione della natura della pena e della sua incidenza sulla libertà personale, rispetto a quella prevista al momento del reato, è incompatibile con il principio di legalità delle pene, sancito dall’articolo 25, secondo comma, della Costituzione”. Lo ha stabilito la Corte Costituzionale, che ha esaminato oggi le censure sollevate da numerosi giudici sulla retroattività della legge 9 gennaio 2019 n. 3 (la cosiddetta Spazzacorrotti), che ha esteso ai reati contro la pubblica amministrazione le preclusioni previste dall’articolo 4 bis dell’Ordinamento penitenziario rispetto alla concessione dei benefici e delle misure alternative alla detenzione. In particolare, è stata denunciata la mancanza di una disciplina transitoria che impedisca l’applicazione delle nuove norme ai condannati per un reato commesso prima dell’entrata in vigore della legge n. 3/2019.
La Corte costituzionale ha preso atto che “secondo la costante interpretazione giurisprudenziale, le modifiche peggiorative della disciplina sulle misure alternative alla detenzione vengono applicate retroattivamente, e che questo principio è stato sinora seguito dalla giurisprudenza anche con riferimento alla legge n.3 del 2019”.
La Corte ha dichiarato che “questa interpretazione è costituzionalmente illegittima con riferimento alle misure alternative alla detenzione, alla liberazione condizionale e al divieto di sospensione dell’ordine di carcerazione successivo alla sentenza di condanna”.
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