L’incendio dell’auto e la fuga, accuse a collaboratore di giustizia: un poliziotto lo vide scappare

 
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Gela. Fu un poliziotto, in transito lungo quel tratto di strada, ad accorgersi che un’auto stava andando in fiamme. “Vidi un giovane che si allontanava in fretta e mi misi ad inseguirlo”. Secondo i pm della procura, il rogo sarebbe stato appiccato da Giovanni Canotto, oggi collaboratore di giustizia e sottoposto agli arresti domiciliari in una località segreta. A spalleggiarlo, in base alle accuse, ci sarebbe stato Carmelo Meroni. “Lo aspettava a bordo di una Fiat Punto scura”, ha spiegato il poliziotto che con l’auto bloccò l’altra vettura, nei pressi di via Recanati. Sentito davanti al giudice Ersilia Guzzetta, ha confermato di aver riconosciuto entrambi gli imputati. Il poliziotto ha risposto alle domande del pm Gesualda Perspicace e a quelle dei difensori degli imputati, gli avvocati Angelo Tornabene e Mariella Giordano. I legali hanno chiesto ulteriori particolari sull’identificazione dei due, mettendo in dubbio il fatto che possano essere coinvolti nel rogo. Secondo i pm della procura, sarebbe stato Canotto ad appiccare le fiamme.

Il giovane collaboratore di giustizia si è già autoaccusato di decine di danneggiamenti, compiuti anche per conto delle cosche locali. Le sue dichiarazioni hanno contribuito all’inchiesta antimafia “Stella cadente”, che ha portato all’arresto dei presunti vertici della Stidda locale.

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