Gela. Sono passati ormai cinque secoli da quando la camerata dei Bardi, a cavallo tra il XVI e il XVII, si riuniva a Firenze per trattare di letteratura, scienze, arte e musica. Si trattava di uomini di cultura innamorati dell’antichissimo dramma greco che, con l’intento di riaffermarlo, sperimentarono un nuovo genere di recitazione teatrale messe in campo con voci e scene dove Venezia e Roma ne fecero occasione di intrattenimento per i colti aristocratici locali del palcoscenico.
Era gente appassionata dei poemi epici di Omero e Virgilio e delle opere cavalleresche di Torquato Tasso e di Ludovico Ariosto. Successivamente gli accompagnamenti musicali diedero vita al melodramma: il dramma per canto senza strumentazioni ma caratterizzato da tante varianti. Il melodramma parte da Venezia, transita per Roma e finisce a Napoli, dove diventa “Aria” includendo melodie accattivanti e una rivisitazione voluta dal poeta Pietro Metastasio. Questo nuovo genere aveva stabilito nuovi canoni di forma con le unità Aristoteliche di tempo e di luogo in cui mancava ogni elemento esilarante.
In questo momento che Napoli inizia a piantare le sue radici nel mondo teatrale-musicale con la creazione dell’intermezzo, una operetta comica di breve durata, rappresentata negli intervalli dell’opera seria che attingeva dall’opera dell’arte e descriveva scene di vita naturale, simile a quella che si svolgeva per le strade nella città di Napoli. Il musicista Giovan Battista Pergolesi l’aveva rappresentata nella sua opera “La serva padrona” contribuendo enormemente al successo del genere sui palcoscenici europei. L’opera comica si trasformò in opera buffa e successivamente in dramma giocoso. Così Napoli nel 1737 con la costruzione del real teatro San Carlo e una tradizione musicale ben radicata, si afferma prepotentemente nella scena musicale internazionale, divenendo il centro musicale europeo quando il politico francese Charles de Brosses la definisce “capitale mondiale d’Europa” che, a quei tempi, equivaleva a dire capitale del mondo. Alla sua inaugurazione fu rappresentato l’Achille in Sciro del Metastasio. Ma ancora una volta con il supporto dei musicisti napoletani, Tommaso Traetta e Niccolò Jommelli, si diede il via ad una rivoluzione dell’opera abbandonando la pomposità fiorentina a beneficio dei personaggi in scena. Traetta portò questi nuovi canoni nell’opera seria, mentre Jommelli li innestò nel dramma giocoso, illuminante elemento di un ingegno musicale partenopeo. Nascono la scuola musicale napoletana del settecento e quattro orfanotrofi, detti conservatori: Santa Marie di Loreto, La pietà dei Turchini, I poveri di Gesù Cristo e Sant’Onofrio a porta Capuana.
Gli orfanotrofi femminili dell’Annunziata e di Sant’Eligio, che sorsero nel cinquecento con scopi caritatevoli, furono riuniti a scopi non più educativi ma didattici nel Real Collegio di Musica, ribattezzato nel 1889 conservatorio di San Pietro a Majella, dopo che nel 1826 si era stabilito nella sede dei Padri Celestini. Questo aveva voluto il re Borbone, incrementando il luogo di attrazione del teatro San Carlo, prima di emanare la legge. Così cambiò anche in Europa il concetto di conservatorio, da istituzione caritatevole a scuola musicale. Quì operavano artisti napoletani e stranieri della portata di Giovanni Paisiello, Domenico Cimarosa, Nicola Porpora, Saverio Mercadante, Giuseppe De Majo, Tommaso Traetta, Niccolò Jommelli, Johanni Adolf Hass, Leonardo Leo, Niccolò Piccinini, Giovan Battista Pergolesi, Alessandro e Giuseppe Domenico Scarlati, Pasquale Anfossi, Gaetano Donizetti, Vincenzo Bellini e tanti altri.
In questo periodo, fu scritta, ed è tuttora conservata, tanta musica sacra. L’opera permise la formazione di molti professionisti della musica per soddisfare le continue richieste a livello europeo.
Lo studio della musica divenne la specializzazione primaria, rendendola famosa in tutta Europa per qualità d’insegnamento basato su un unico strumento didattico, tutto Napoletano: il Partimento. La guida del Partimento era molto difficoltosa e l’allievo l’apprendeva tra arte ed esercitazione in maniera pratica e veloce. Il Partimento ben presto si diffuse in tutta Europa che ne riconobbe la grandissima validità, ma le più ricercate erano opere di grande spessore in cui si resero protagonisti musicisti come Leo, Durante e Paisiello che dedicarono molta cura e alta dignità musicale.
I musici, detti anche castrati (ovvero cantanti maschi che avevano subìto la castrazione prima della pubertà, allo scopo di mantenere la voce acuta in età adulta), provenivano da questo tipo di formazione. Napoli aveva raggiunto il suo apice di perfezione come dimostrato dallo stesso Jean Jacques Rousseau, nel suo Dictionnaire de Music, pubblicato nel 1764, dove invitava gli aspiranti musicisti d’Europa a recarsi a Napoli per scoprire la perfezione e verificare se fossero dotati di qualche particolare genio musicale riconoscibile, “Vuoi tu sapere se qualche scintilla brucia in te? Corri, vola a Napoli ad ascoltare i capolavori di Leo, Durante, Jommelli e Pergolesi”. Il consiglio fu ascoltato anche da un giovane prodigioso di Salisburgo, Wolfgang Amadeus Mozart, che viaggiò alla volta della città del teatro “San Carlo” per toccare con mano quel fervido mondo che cantava, suonava e incantava e crescendo artisticamente sotto l’influenza dei musicisti Napoletani. Il teatro San Carlo di Napoli nel 1787, aveva raggiunto dimensioni eccezionali, quando il re Ferdinando IV di Borbone, incaricò Giovanni Paisiello a sovraintendere il “San Carlo” con il titolo di Maestro della Real Camera che tanto apprezzamento ottenne dai maestri Europei. L’anno successivo, il maestro Tarantino , per volontà del sovrano, musicò “L’inno del re” che nel 1816, dopo il congresso di Vienna, fu adottato quale inno nazionale del Regno delle due Sicilie, il cui spartito originale si trova nella biblioteca del conservatorio di San Pietro a Majella. (made in Naples di Angelo Forgione). L’opera musicale napoletana, durante il periodo dei moti rivoluzionari, subì un particolare oblio che nella seconda metà dell’ottocento, in occasione dell’unità d’Italia in cui emerge l’opera risorgimentale di Giuseppe Verdi fu completamente sotterrata. Resistettero le radici Napoletane insieme alla figura del compositore Saverio Mercadante, capace di dividere il successo con il compositore parmigiano. I grandi compositori Napoletani furono relegati nell’assoluta dimenticanza, giunta fino ai giorni nostri, forse affiora qualcosa dall’opera di Cimarosa e Paisiello, ma di Jommelli e Traetta, nulla. Così spariscono le eccellenze meridionali, una dopo l’altra, subito dopo l’invasione forzata dei piemontesi del Regno delle due Sicilie, conclusasi con la colonizzazione più devastante del mondo, non paragonabile nemmeno a quella Inglese dell’ultimo periodo storico, terza fase di colonizzazione.