Protesta contro Eni, una croce al presidio: “Siamo pochi, dove sono i colleghi?”

 
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Gela. Interrogazioni parlamentari, richieste d’intervento rivolte direttamente al presidente del consiglio Matteo Renzi, minacce di revoca per le autorizzazioni minerarie rilasciate al gruppo Eni.

Tutti, nessuno escluso, cercano di ritagliarsi uno spazio sul palcoscenico della protesta partita dagli operai dell’indotto e del diretto della fabbrica Eni di contrada Piana del Signore.
Intanto, però, la realtà quotidiana dei presidi organizzati lungo le vie d’accesso allo stabilimento appare tutt’altro che serena. Il presidio sorto nelle scorse ore nei pressi delle pipeline Green Stream, utilizzate da Eni per trasportare gas dal nord Africa ai terminali locali, è stato sciolto. Tanta l’amarezza dei lavoratori che stavano presidiando la zona. Adesso, davanti al presidio collocato sul tratto finale del lungomare Federico II di Svevia, è stata sistemata una rudimentale croce rivestita con una bandiera sindacale.
L’ha piazzata uno degli operatori in protesta per lamentare l’assenza di una vera e propria organizzazione che possa contrastare i piani Eni. Nelle ultime ore, infatti, i presidi si sono svuotati. Dopo il no al cambio turno della scorsa notte, diversi operatori di raffineria hanno fatto accesso in fabbrica davanti a pochi colleghi sistemati nelle postazioni di fortuna nate con la mobilitazione.
Quella croce è un avvertimento a mobilitarsi in massa senza delegare solo pochi lavoratori? Sembrerebbe di sì, dato lo scoramento che rischia di farla da padrone nonostante sindacati ed istituzioni locali stiano cercando di esportare fuori dall’isola l’intera vertenza. Sono principalmente gli operatori di raffineria a chiedere l’intervento materiale, anche ai presidi, dei segretari sidnacali di categoria. “Siamo soli – si sfogano – è una situazione assurda e diversi colleghi cercano comunque di entrare in stabilimento”.

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