Gela. Secondo la difesa, non ci sono più le condizioni per giustificare il regime del 41 bis, il carcere duro imposto al boss Peppe Alferi, dopo il blitz “Inferis”. Sarà però una diversa sezione del tribunale di sorveglianza di Roma a doversi pronunciare sull’istanza di revoca proposta dal difensore del cinquantaseienne, l’avvocato Maurizio Scicolone. Questa mattina, è arrivata la decisione, comunicata al legale. Sarà fissata una nuova data di trattazione. In base a quanto sostenuto dalla difesa, anche le sentenze successive alla vasta inchiesta antimafia hanno escluso l’esistenza di un terzo polo malavitoso, retto da Alferi. Lui stesso, in più occasioni davanti ai giudici, ha spiegato di essere stato “un malandrino ma mai un mafioso”. Per gli investigatori, però, il suo gruppo, attivo principalmente nei furti e nei danneggiamenti, avrebbe spesso fatto da supporto a stidda e Cosa nostra, fino a strutturarsi come organizzazione mafiosa autonoma.
Una “terza mafia”, che però la difesa esclude. Decisive, nel tempo, sono state le dichiarazioni dell’ex “figlioccio” di Alferi, il collaboratore di giustizia Emanuele Cascino, che ha svelato gli equilibri interni al gruppo. Il tempo ormai trascorso e le pronunce, che verranno prodotte, sono alla base della richiesta di rivedere il regime carcerario al quale è sottoposto quello che gli inquirenti ritengono un boss, a tutti gli effetti.