Gela. Una vasta serie di approfondimenti investigativi che è poi sfociata nella maxi indagine “Leonessa”, coordinata dai pm di Brescia, ha trovato però delle connessioni anche nell’agrigentino. Ancora una volta l’ipotesi è quella delle compensazioni fiscali non dovute e delle frodi ai danni dell’erario. Un presunto giro che sarebbe da ricondurre ad alcune società, con sede in provincia di Agrigento. I pm della città dei templi hanno fatto partire un altro filone di inchiesta, che coinvolge tredici indagati. Ci sono professionisti del nord Italia, ma anche il quarantasettenne gelese Simone Di Simone, già arrestato nel maxi blitz “Leonessa”, anche se lo scorso ottobre la difesa, sostenuta dall’avvocato Davide Limoncello, ha ottenuto dal riesame l’annullamento dell’ordinanza, firmata dal gip lombardo. Nelle scorse settimane, i pm della procura di Agrigento hanno chiesto una proroga delle indagini.
Vengono valutati diversi aspetti, anche se lo schema che sarebbe stato attuato ricalca quello ricostruito nel filone principale, che ha messo in risalto soprattutto il ruolo dell’imprenditore trentatreenne Rosario Marchese (non coinvolto nell’indagine dei pm agrigentini), considerato la mente delle truffe fiscali, secondo gli investigatori vicino al gruppo della stidda.