Gela. Gli stiddari erano armati e i pm della Dda di Caltanissetta ritengono di aver individuato le fonti che permettevano al gruppo dei Di Giacomo di avere a disposizione tutto il necessario per intimidazioni e danneggiamenti. Le armi sarebbero arrivate anche da insospettabili. Tra le carte dell’inchiesta “Stella cadente”, spunta un dipendente comunale. L’avrebbe fornita lui la calibro 38 che Bruno Di Giacomo, considerato vertice di riferimento della nuova stidda, gli aveva chiesto. La pistola, secondo gli investigatori, sarebbe poi stata utilizzata per fare pressione su uno dei gestori della discoteca “Malibù”. Il quarantaquattrenne Bruno Di Giacomo avrebbe preteso la sua parte dei soldi. Per gli inquirenti, sarebbe stato socio occulto del locale. Sono stati ricostruiti diversi incontri tra il presunto capo e il dipendente comunale cinquantottenne, che dalle intercettazioni telefoniche sembra avere una frequentazione assidua. E’ indagato, ma non sottoposto a misure cautelari. “Dipendente del Comune di Gela solo in apparenza estraneo alla stidda”, così lo definiscono negli atti. Si parla solo sporadicamente di armi, ma secondo gli inquirenti i due, per evitare di esporsi, avrebbero usato un linguaggio appositamente criptico.
Fanno più volte riferimento a materiale da lavoro e a tubi, ma per i pm e i poliziotti, Di Giacomo, dopo aver usato l’arma per intimidire il gestore del “Malibù”, l’avrebbe poi restituita al dipendente comunale. Entrambi sono stati più volte intercettati e da quanto emerso anche l’insospettabile cinquantottenne si sarebbe messo a disposizione degli stiddari.