Gela. È stata una giornata indimenticabile quella vissuta dagli ospiti della casa di riposo Antonietta Aldisio di Via Europa con il vescovo di Piazza Armerina, Rosario Gisana. Non solo per le belle parole che don Giovanni Tandurella ha rivolto a Sua Eccellenza, suscitandone momenti di autentica commozione; non solo perché, trascinati dalla calda e melodiosa voce di Anna Scerra e dal suono vibrante della chitarra di Patrizia Bevilacqua, i presenti hanno potuto intonare canti natalizi; non solo perché l’incontro si è protratto con un pranzo che ha visto gli ospiti della casa di riposo sedere a portata di gomito con Sua Eccellenza il vescovo, di cui è stata apprezzata anche l’amabile ironia. Ma dico, con sincerità, che ciò che mi ha spinto a scrivere il presente articolo è l’esperienza che ho fatto in questa struttura, avendovi ricoverato un’anziana che apparteneva alla mia famiglia. Sulle prime, confesso, noi familiari abbiamo manifestato qualche riserva sull’opportunità di accettare il ricovero in quella struttura ma, alla resa dei conti, è stata un’edificante esperienza per come, poi, sono andate le cose. Questo mi dà lo spunto per parlare della struttura che, giorno dopo giorno, vede cambiare il suo look e la sua capacità di fornire servizi sempre più efficienti, di ospitare numeri sempre maggiori di pazienti. Le cronache ci informano, con una frequenza che sbalordisce e inorridisce, di case di riposo in cui vengono scandalosamente perpetrate le azioni più turpi contro anziani, disabili, pazienti con disturbi di varia natura. Cosa ho trovato, invece, nella casa di riposo Antonietta Aldisio di via Europa? Ho trovato locali rinnovati e ristrutturati, pulizia, sollecitudine da parte degli operatori nell’espletare le molteplici mansioni loro assegnate, disponibilità senza riserve, gesti nei riguardi degli ospiti improntati e ispirati all’amore. In questo tempo divenuto ormai follemente turbinoso, forse abbiamo un po’ tutti disimparato ad usare la parola “amore” come se, servendocene, rivelassimo una condizione di debolezza, quasi che il buon sentimento ci impoverisse. Non dico della mia meraviglia nel sorprendere un’operatrice che, piegata sulle ginocchia, elargiva calorose carezze ad una paziente su una sedia a rotelle. Fino ad oggi nessun poeta è riuscito a trovare parole che potessero descrivere gli effetti di una carezza, trattandosi del dialogo profondo tra due anime. Non scopro certo l’esistenza di un nuovo continente nell’affermare che una carezza può valere più di una medicina.
Per Dostoevskij, la vera bellezza, ma lo aveva già detto anche Plotino, sta soprattutto in un gesto caritatevole, in un confortante sorriso, in una affabile carezza. Perché il dolore è meno dolore se è trattato con un sorriso, una carezza, uno sguardo di solidale comunione. Mentre la RSA di via Francia si è già conquistata i galloni dell’eccellenza, quest’altra struttura di Via Europa, gestita dalla società “La Fenice” e capitanata dall’Ing. Renato Mauro, presenta tutti i presupposti perché possa diventare il fiore all’occhiello della città per i servizi che potrà assicurare, un punto di riferimento persino per le realtà viciniori. Ma è tutto lo staff che è di prim’ordine, a cominciare da Sandra Bennici, della quale si dice un gran bene per ciò che riguarda le sue capacità gestionali; ma parlo anche di Salvatore Scerra, che ho visto particolarmente impegnato nel suo ruolo di coordinatore tecnico, e di tutti gli operatori e i componenti del consiglio di amministrazione. I nostri concittadini, soprattutto gli svantaggiati, devono sapere di poter trovare un’oasi, ampi spazi e aree verdi, nella quale combattere la pesantezza del tempo, l’alienante quanto frustrante abisso della solitudine, trovare amorevoli mani, sorrisi che aprono alla speranza, carezze che danno levità alla vita. Nicolás Gómez Dávila diceva che, per meschina e povera che sia, ogni vita possiede istanti degni di eternità. Io, invece, mi spingo oltre e dico che ogni persona, qualunque condizione essa viva, merita istanti di eternità, i soli capaci di colmare i vuoti e la durezza del giorno e della notte. Ora vorrei giungere ad una monumentale riflessione di Carl Gustav Jung. Tanti sono quelli che misurano il valore di una persona col metro del potere, della ricchezza, del successo. Beh, il vero valore della vita si scopre, invece, nei luoghi del dolore, della sofferenza, della difficoltà, della privazione. E’ lì che gli uomini diventano tutti uguali. La solidarietà, la condivisione degli spazi, il respirare la stessa aria fanno capire che nessuno può essere considerato l’ultimo degli uomini. E chi ancora non lo avesse adeguatamente appreso, farebbe bene a ricordare l’ammonimento di Jung: “Atto d’amore è accogliere in noi la nostra parte più ferita e fragile, accorgersi che dobbiamo amare l’ultimo degli uomini perché arriva terribile il momento in cui ci accorgiamo che l’ultimo degli uomini siamo noi”. Sconvolgente metafora della vita che Alain de Botton e John Armstrong riportano nel loro capolavoro “L’arte come terapia”, commentando un quadro di Jacques-Louis David nel quale è evidenziata la figura del vecchio e una volta potente generale Belisario, caduto in disgrazia, chiedere l’elemosina sotto lo sguardo sconvolto di un suo ex soldato. E allora basta ricordarci che, come ha detto Sua Eccellenza il vescovo, in ogni essere umano c’è una particella di Dio.
Salve, credo, potrei anche sbagliare , che sia Don Tandurella che il consigliere Scerra non potrebbero ricoprire cariche all’interno di un IPAB. Cordiali saluti.