La mafia nella gestione della Comes, assolto Iudice: cadono tutte le accuse

 
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Gela. Non ci sarebbe stato lui dietro all’infiltrazione mafiosa della Comes, azienda locale che in passato ha gestito importanti appalti. Il collegio penale del tribunale, presieduto dal giudice Miriam D’Amore (a latere Marica Marino e Antonio Fiorenza), ha assolto l’ingegnere Francesco Iudice. Una lunghissima istruttoria, che si è conclusa con un dispositivo favorevole al professionista. I giudici, invece, ma solo per uno dei capi di imputazione, hanno disposto la condanna a quattro mesi di reclusione per Crocifisso Smorta, in continuazione con precedenti sentenze. Secondo quanto ricostruito dagli investigatori, Smorta (difeso dall’avvocato Ugo Colonna), all’epoca tra i vertici di Cosa nostra locale e da anni collaboratore di giustizia, avrebbe avuto un ruolo strategico nella compagine societaria della Comes. Il pm della Dda di Caltanisetta Davide Spina, nel corso della requisitoria, ha spiegato che sarebbe stato Iudice a volere Smorta in società, così da evitare problemi, ma soprattutto con l’obiettivo di far valere il suo peso criminale e ambire ad appalti importanti. Una ricostruzione che però non ha retto. Il collegio penale ha invece accolto quanto proposto dal difensore di Iudice, l’avvocato Antonio Gagliano. Il legale è risalito agli albori dell’indagine, parlando di un “peccato originale”. Secondo la versione resa in aula, non ci sarebbe stata alcuna volontà da parte del professionista di aprire la porte della società a Smorta. L’ex reggente di Cosa nostra, invece, avrebbe agito per garantire lavori ad un’azienda di riferimento, condotta da un familiare. L’inchiesta ha toccato inoltre le fasi di aggiudicazione di un appalto, messo a gara dal Consorzio di bonifica di Siracusa e alla fine aggiudicato alla romana Safab, in quel periodo tra le big nazionali del settore, poi travolta da indagini della magistratura. Anche in questo caso le accuse nei confronti di Iudice erano pesanti, fino ad ipotizzare che avesse imposto l’estorsione agli imprenditori romani, attraverso Smorta. Nei suoi confronti, il pm ha chiesto la condanna ad otto anni di reclusione.

Anche sul versante della presunta estorsione alla Safab, che già anni prima era finita nel mirino dei clan locali nei cantieri della diga Disueri, la difesa dell’ingegnere ha ribadito che non ci sarebbe stata alcuna condizione di gara, tale da indurlo a pretendere denaro dall’azienda concorrente. “I manager della Safab – ha spiegato il legale – già sapevano che la Comes, che era in Ati con un’altra azienda, non si sarebbe mai potuta aggiudicare l’appalto, perché non era in regola con il Durc”. Sono cadute le accuse, inoltre, su presunte pressioni nei confronti di uno degli ex soci Comes. L’avvocato Cristina Alfieri, che ha rappresentato una della parti civili, ha chiesto la condanna, così come indicato dal pm della Dda. Per Iudice, invece, è arrivata l’assoluzione.

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