“Morti per l’amianto in raffineria”, legali operai confermano nesso decessi-fibre killer

 
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Gela. L’esposizione prolungata all’amianto, in raffineria, avrebbe causato il decesso di due ex operai dell’indotto, mentre altri tre lavoratori, per decenni impegnati in fabbrica, oggi sono malati. Dopo le richieste di condanna formulate dal pm Mario Calabrese nei confronti di manager Eni, tecnici e responsabili di aziende dell’indotto, sono stati i legali di parte civile a presentare le loro conclusioni, davanti al giudice Miriam D’Amore. Rappresentano le famiglie dei due lavoratori deceduti e gli ex operai che oggi sono malati. Hanno ripercorso le vicende delle attività svolte nello stabilimento di contrada Piana del Signore, giungendo alla conclusione che quanto contratto dai cinque sarebbe riconducibile solo alle fibre killer. Gli avvocati Paolo Testa, Maria Concetta Di Stefano e Laura Caci, hanno ribadito che le patologie contratte dai lavoratori, oggi malati, sono da collegare alla massiccia presenza di amianto tra gli impianti. Hanno chiesto il riconoscimento del diritto al risarcimento dei danni e la condanna degli imputati. I legali Vittorio Giardino, Antonio Impellizzeri e Liboria Mattina, invece, hanno spiegato che le cause del decesso dei due operai, morti negli scorsi anni, sono necessariamente da rintracciare negli effetti delle fibre killer. Il loro stile di vita non sarebbe stato decisivo, quanto invece il contatto costante con l’amianto. Un nesso che trae fondamento da diversi studi scientifici, come ha detto l’avvocato Davide Ancona, legale di parte civile dell’Osservatorio nazionale amianto. Ha condotto una lunga disamina, citando molta dottrina e mettendo a confronto la vicenda dei lavoratori dello stabilimento di contrada Piana del Signore con quelle degli operai di altri siti industriali italiani, a loro volta colpiti dalle nefaste conseguenze dell’amianto. Alle stesse conclusioni è arrivato l’avvocato Maurizio Cannizzo, nell’interesse dell’associazione “Aria Nuova”, che già in passato aveva iniziato a denunciare gli effetti dell’esposizione alle fibre. Lo scorso mese, al termine della sua lunga requisitoria, il pm Mario Calabrese ha chiesto la condanna degli imputati, ritenuti direttamente responsabili della mancata adozione di tutte le misure di prevenzione che avrebbero potuto impedire l’esposizione degli operai. Tra le contestazioni, c’è l’omicidio colposo.

Quattro anni di reclusione ciascuno per Antonio Catanzariti, Gregorio Mirone, Giancarlo Fastame, Giorgio Clarizia, Ferdinando Lo Vullo, Luciano Di Buò, Giovanni La Ferla, Pasqualino Grandizio, Arturo Borntraeger, Giovanni Calatabiano, Giuseppe Farina e Vito Milano. Tre anni, invece, per Giuseppe Genitori D’Arrigo e Salvatore Vitale, ritenuti responsabili solo di un caso di omicidio colposo. A seguito del tempo ormai trascorso, il pm Calabrese ha richiesto invece il non doversi procedere, per intervenuta prescrizione, nei confronti degli imputati che erano ritenuti collegati alle patologie che hanno colpito altri tre ex operai dell’indotto. In questo caso, l’accusa mossa era di lesioni colpose. A processo, c’erano anche Salvatore Di Guardo, Gioacchino Gabbuti, Francesco Fochi, Antonio Borgia, Pier Giorgio Covilli, Giancarlo Picotti, Cesare Riccio, Francesco Cangialosi, Salvatore Maranci, Orazio Sorrenti, Vincenzo Piro, Aurelio Faraci, Giuseppe Di Stefano, Giuseppe Lisciandra, Salvatore Di Dio, Andrea Frediani, Giacomo Rispoli, Giuseppe Ricci, Battista Grosso, Antonio Fazio e Renato Morelli. In aula, si tornerà a gennaio. Sarà la volta dei legali dei responsabili civili e degli imputati.

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