Droga e armi, “50 euro per ogni intimidazione”: parla Di Stefano, “senza clan non si spacciava”

 
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Gela. “50 euro per un danneggiamento”. Nel gruppo che aveva preso le redini della famiglia di mafia dei Rinzivillo ci sarebbe stato anche un preciso preziario, con i soldi da riconoscere a chi si metteva a disposizione per incendi o intimidazioni, anche a colpi di arma da fuoco. E’ uno dei tanti particolari raccontati da Roberto Di Stefano, per anni riferimento principale del gruppo e oggi collaboratore di giustizia. Ha parlato nel corso dell’istruttoria scaturita dall’inchiesta “Mutata arma”. Per i pm della Dda di Caltanissetta, in aula con il sostituto procuratore Matteo Campagnaro, la famiglia poteva contare su armieri e trafficanti di droga. Le pistole modificate, così ha spiegato nel corso della sua deposizione Di Stefano, le avrebbe messe a disposizione Carmelo Vella, padre di Majch Vella e Graziano Vella. I tre sono stati coinvolti e condannati, in primo grado, in un altro troncone processuale scaturito dallo stesso blitz. “Ci consegnò una calibro trentotto e una nove – ha spiegato Di Stefano – mi pare che le pagammo circa cinquecento euro. Io fornivo l’hashish ai figli”. Le armi sarebbero poi state usate anche per intimidazioni. Rosario Vitale, uno degli imputati, avrebbe usato una pistola modificata per sparare contro la vetrina di una pizzeria, a Caposoprano. “Il figlio del titolare – ha proseguito il collaboratore – gli aveva fatto bruciare l’automobile e lui ha sparato contro la pizzeria”. Avvertimenti non sarebbero mancati neanche ai danni di un imprenditore, al quale venne bruciata l’automobile, oltre agli spari. “Le armi normalmente le nascondeva “Davidino” – ha detto inoltre Di Stefano – le teneva nell’intercapedine di un ascensore. Abitava a poca distanza da Davide Pardo”. Sia Pardo, nipote di Di Stefano, che Davide Faraci sono imputati nell’altro troncone processuale, già definito con sentenza di primo grado. Davanti al collegio penale del tribunale, presieduto dal giudice Miriam D’Amore, a latere Marica Marino e Silvia Passanisi, sono finiti invece Angelo Gagliano, Rosario Vitale, Massimo Castiglia e Luigi Barone.

“Barone, Castiglia e Gagliano? Non mi dicono niente”, ha precisato. Gli imputati, sono difesi dagli avvocati Flavio Sinatra, Maurizio Scicolone, Giuseppe Cascino e Francesco Villardita. L’affare principale dei Rinzivillo, nel corso del tempo, era diventato quello del traffico di droga. “Ero in società con Davide Pardo e Giuseppe Schembri – ha proseguito – le estorsioni non fruttavano più perché commercianti e imprendori avevano iniziato a denunciare. La droga arrivava da Napoli, dalla zona di Vittoria e da Palermo. Senza fare parte dei clan, non si poteva spacciare”. Nei viaggi per rifornirsi, i trafficanti dei Rinzivillo avrebbero spesso usato delle “staffette”, controllavano che lungo la strada non ci fossero controlli delle forze dell’ordine.

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