Gela. Venne raggiunto e ucciso nel cortile di un asilo, a San Giuliano Milanese. Dopo trentuno anni dall’omicidio di Cristoforo Verderame, si è aperta l’udienza preliminare. Le sorelle della vittima sono state ammesse come parti civili. I legali che le assistono, gli avvocati Carmelo Tuccio e Giuseppe Simonetti, hanno ottenuto l’autorizzazione del gup milanese. A rispondere di quell’esecuzione di mafia, sono il boss Antonio Rinzivillo e l’attuale collaboratore di giustizia niscemese Antonino Pitrolo. Gli investigatori lombardi hanno messo il punto sulla ricostruzione di un “cold case”, in realtà già finito al centro delle indagini, avviate su una serie di omicidi che a cavallo tra anni ’80 e ’90 esportarono la guerra di mafia da Gela all’hinterland milanese. Nell’ottobre del 1988, sarebbe stato Pitrolo, come lui stesso ha ammesso, a partecipare all’agguato, insieme ad un complice, ancora non identificato. L’ordine l’avrebbe dato Rinzivillo, capo indiscusso di Cosa nostra gelese, adesso ristretto sotto regime di carcere duro. Verderame doveva essere ammazzato, anche in maniera plateale, per inviare chiari segnali ai rivali stiddari. Le famiglie gelesi si contendevano gli affari illeciti anche in Lombardia. Pare che Verderame fosse a sua volta armato, ma non riuscì a sfuggire ai proiettili dei killer. La difesa di Rinzivillo, sostenuta dagli avvocati Flavio Sinatra ed Eliana Zecca, non ha optato per riti alternativi.
Il legale che rappresenta Pitrolo, invece, ha chiesto e ottenuto l’ammissione al giudizio abbreviato (è difeso dall’avvocato Maria Assunta Biondi). In aula, si tornerà a fine mese. Gli investigatori sono riusciti a dare un volto ai presunti responsabili di quell’esecuzione, anche sulla scorta di quanto raccontato da Emanuele Tuccio, collaboratore di giustizia, già condannato per il duplice omicidio di Simone Di Stefano e Claudio Casciana.