Gela. “Non avevo motivi di astio nei confronti di Sequino. Non fu lui a prendere i sessantamila euro. Non mi ha raggirato. Mi fece conoscere Angelo Barnascone, che poi divenne collaboratore di giustizia”. Il quarantacinquenne Nicola Liardo, accusato di essere il mandante dell’omicidio del tassista cinquantaseienne, ha parlato davanti al gip, nel carcere di Palermo, dove è detenuto. Ha respinto ogni accusa e la difesa ha avanzato richiesta di perizia sulle intercettazioni. Come già spiegato dal figlio Giuseppe (a sua volta ritenuto mandante dell’agguato mortale), gli investigatori avrebbero mal interpretato il contenuto di alcune intercettazioni, telefoniche e ambientali. “Se avessi voluto uccidere Sequino – ha proseguito Liardo – lo avrei potuto fare quando ero in libertà. La vicenda dei sessantamila euro era già nota agli investigatori dai tempi di “Tagli pregiati. Anzi, mi diede indicazioni per tentare di rintracciare Bernascone, che mi truffò”. Liardo, da anni ormai ritenuto un pezzo importante di Cosa nostra locale, ha però negato ogni riferimento all’omicidio, così come ha escluso di aver ordinato l’estorsione ai danni dell’imprenditore Gandolfo Barranco, che secondo gli inquirenti avrebbe generato i dissapori finali con Sequino, forse intervenuto ad impedire la messa a posto. “Non ho mai pensato di estorcere denaro a Barranco – avrebbe dichiarato Liardo – lo conoscevo da anni, dato che svolgeva la pratica forense in uno studio legale al quale mi rivolgevo io. Non l’avrei mai fatto”.
Liardo, difeso dall’avvocato Davide Limoncello, ha voluto rispondere, replicando ai contenuti dell’ordinanza che ha portato al suo arresto, a quello del figlio Giuseppe e del compagno della figlia, il ventinovenne Salvatore Raniolo, ritenuto il killer che sparò al tassista, ucciso nel dicembre di cinque anni fa nel cuore di corso Vittorio Emanuele. I pm della Dda di Caltanissetta e i carabinieri, invece, sono sicuri che i Liardo decisero di eliminarlo.